L’Africa sembra esser stata disegnata per le bici gravel e di conseguenza per il cicloturismo rustico, o forse è il contrario, ma la sostanza non cambia. Quella terra, con le sue poche strade asfaltate e le sue mille diramazioni sterrate, dove ogni via o viuzza, normalmente rossa, è circondata da un verde dalle mille sfumature, è il paradiso per un’avventura su due ruote.
Noi, con me l’amico Roberto Cravero, siamo partiti da Bujumbura, la città più importante del Burundi, e con l’obiettivo di raggiungere Kigali, capitale del Ruanda, sede dei campionati del mondo di ciclismo su strada, abbiamo vissuto l’esperienza che ci eravamo prefissi. Con solo qualche borsa, appositamente studiata dalla TAAC, appesa alle nostre biciclette di bambù, e il minimo necessario dentro per non essere troppo pesanti, non ci siamo mai dati un chilometraggio da dover fare, ma abbiamo sempre seguito una direzione sommaria perdendoci volutamente più volte tra campi coltivati, bananeti e piantagioni di ogni tipo.
La gente del posto, assolutamente non abituata a vedere dei Mzungu (uomo bianco in lingua Swaili), e per di più vederli pedalare una bicicletta, che per loro è il fondamentale mezzo di trasporto di cose e persone, entusiasta del nostro passaggio, ci ha acclamati ed accompagnati di continuo. Abbiamo dormito dove abbiamo trovato alloggio, senza pretese, e abbiamo mangiato solo riso e banane la maggior parte delle volte, anche perché c'era solo quello, ma non ci è mai mancato nulla.
Abbiamo visto un’Africa totalmente diversa da quelle pubblicizzate nelle agenzie di viaggio, un Africa meno appariscente, senza animali selvatici e senza resort di lusso, ma proprio per questo più autentica, fatta anche e soprattutto di povertà, talvolta un po' cruda, ma ricca di sorrisi, tanto nei grandi quanto nei bambini, che sono stati il valore aggiunto e l’energetico giusto per il nostro sforzo.